Oncologi, meno di un terzo ospedali comunità sono funzionanti
Ritardi anche case comunità.Cipomo, 'serve assistenza capillare'
Le Case della comunità pienamente operative risultano essere poco più di 300 su oltre 1.200 previste nella fase originaria del piano; gli Ospedali di comunità funzionanti sono meno di uno su tre rispetto al totale programmato; solo circa il 60% delle Centrali operative territoriali è attivo. In sintesi, ben oltre la metà degli ospedali non ha uno sviluppo territoriale reale. Inoltre, nel Sud e nelle aree interne, dove il sistema distrettuale è più fragile, l'attuazione del Dm 77 è mediamente in ritardo di 12-18 mesi rispetto al Nord. È questa la fotografia scattata dai recentissimi dati Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) analizzati al 'Cipomo Day 2025', l'evento annuale di formazione e approfondimento del Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri che si sta svolgendo su piattaforma digitale con il titolo 'Integrazione Ospedale-Territorio: modelli e soluzioni per una sanità sostenibile e vicina ai cittadini'. "Queste criticità emergono in un contesto in cui l'aspettativa di vita è in aumento, la popolazione anziana e con comorbidità cresce, e le neoplasie assumono sempre più spesso un profilo di patologia cronica - spiega Silvana Leo, direttrice U.O.C. Oncologia Medica, Ospedale Vito Fazzi di Lecce e consigliera Cipomo -. Da ciò deriva la necessità di riorganizzare i percorsi di cura: non più solo 'ospedale come unico luogo di cura', ma un sistema capace di offrire assistenza integrata, multiprofessionale e articolata tra ospedale e territorio. Oggi follow-up, terapia di supporto e gestione delle tossicità potrebbero essere svolti nei nuovi setting territoriali, come previsto dalle Linee di indirizzo Agenas, liberando risorse ospedaliere e migliorando la qualità di vita dei pazienti". Da qui la proposta di un piano in 4 punti: promuovere una visione organica di percorso per il paziente oncologico, dalla diagnosi all'assistenza di lungo termine; estendere e replicare modelli organizzativi virtuosi e già operativi; stimolare l'elaborazione di politiche regionali che riducano la variabilità territoriale e le diseguaglianze assistenziali; favorire la digitalizzazione, la telemedicina e la presa in carico domiciliare come strumenti centrali della nuova assistenza.
E.Rizzo--GdR